Alla scoperta del lavoro dell’artista di origini ceco-americana. Tra inchiostri realizzati con materiali naturali, opere pensate per legare cielo e terra e un calendario che esplora il concetto di tempo con i colori.
Abbiamo incontrato Marta Abbott, artista di origine ceco-americana che ci ha colpito all’ultimo Fuorisalone con il poetico calendario “Time, Framed”, presentato negli spazi di Mosca Partners. Un oggetto a metà tra arte e design, composto da 12 fogli su carta traslucida e un supporto di ottone non rifinito, nel quale il flusso dell’anno è tracciato tramite l’uso di forme e colori estratti da materiali naturali. Un modo diverso di misurare il tempo che evoca un’epoca lontana, in cui gli anni, i mesi e i giorni erano scanditi dai ritmi della natura.
Abitando territori al di là delle categorie convenzionali, Marta cerca infatti di offrire con il suo lavoro una nuova prospettiva sull’ambiente circostante e su noi stessi, auspicando il recupero di una connessione autentica con il mondo naturale, di cui siamo tutti parte integrante.
Le sue opere esposte in diverse città, tra cui New York, Praga e Roma, sono state pubblicate in varie riviste e i suoi dipinti sono inclusi in collezioni private in tutto il mondo.
Ecco cosa ci ha raccontato.
“Time, Framed” è un’opera d’arte, ma anche un oggetto domestico da toccare e da ‘vivere’. Com’è nata l’idea di creare un calendario?
Erano anni che desideravo realizzare un’opera intorno al concetto di calendario. Un oggetto ultimamente sostituito da tante persone con quello dello smartphone, a cui volevo restituire una consistenza fisica. Time è una risposta analogica ai tempi iperconnessi in cui viviamo, ma anche un modo per ritrovare un contatto con la natura. In passato erano, infatti, i ritmi della natura che ci aiutavano a misurare i mesi, le settimane e i giorni. E io vorrei recuperare tutto questo e magari aiutare anche gli altri a farlo, stimolandoli a guardare il mondo in un modo diverso.
Come ha preso corpo il progetto? Qual è stato il processo creativo?
Nel periodo in cui ho ideato Time collaboravo con uno studio di design, Naessi, e mi sono rivolta a loro per una consulenza creativa, perché essendo un’artista non sapevo come lavorare su un prodotto. L’idea era di comunicare la sensazione che provo durante ogni mese dell’anno tramite i colori e le forme. Ad esempio, per evocare i mesi autunnali ho impiegato un inchiostro realizzato con la ruggine che ha colori tra l’oro e il marrone bruciato. Per l’inverno, ho usato un inchiostro fatto di carbone, con pochissimi punti di bianco che rappresentano le luci che accendiamo in inverno durante le feste. I mesi estivi sono pieni di blu, una nuance che evoca il mare e il cielo azzurro, realizzata con un rame ossidato. La primavera è raccontata con toni chiari per suggerire un nuovo inizio. Per le forme, Studio Naessi mi ha aiutato a scegliere elementi più grafici rispetto alle cose astratte che faccio di solito. E, poi, ho adottato anche simboli e scritte. Nel mese di dicembre c’è la parola mezzanotte, in ottobre tramonto, in luglio mezzogiorno. Insomma, ci sono vari strati per comunicare il modo in cui misuriamo il tempo. Un qualcosa che non ha di per sé una misura, a cui abbiamo dato noi una struttura.
Quali sono i materiali che compongono “Time, Framed”?
I fogli che compongono i mesi sono realizzati su una carta traslucida di Fedrigoni, un materiale che rende l’opera viva. Infatti, se il calendario viene appeso davanti a una finestra, i colori cambiano in base alla luce del giorno. Il supporto è, invece, in ottone non finito perché volevamo che il passaggio del tempo si vedesse anche sulla superficie. Gli inchiostri impiegati sono tutti naturali.
Gli inchiostri naturali e autoprodotti sono un aspetto che caratterizza tutto il tuo lavoro. Ci puoi raccontare qualcosa di più sugli strumenti con cui crei le tue opere?
Sì, negli inchiostri che uso c’è sempre un elemento organico perché creano un legame con ciò che racconto. Sono ricavati da fiori, bacche, cortecce o elementi metallici come ferro e rame. E utilizzo spesso ricette antiche. In questo, mi ha aiutato molto un profilo che ho scoperto su Instagram nel 2017: Toronto Ink Company di Jasons Logan, un designer grafico e illustratore che produce colori usando estratti naturali. Scorrendo il feed, ho visto macchie di colore bellissime e gli ho scritto per chiedergli quali inchiostri impiegasse e dove potessi comprarli per usarli nelle mie opere. In tutta risposta, Jasons mi ha spedito un pacco di inchiostri senza chiedere nulla in cambio. A quel punto ho pensato di realizzare anch’io un inchiostro da mandargli, utilizzando un’antica ricetta ricavata dalla noce dell’avocado. Ho fatto un piccolo esperimento su carta e da lì è nato uno scambio di materiali.
Nel 2018 Abrams Books ha pubblicato un libro sul lavoro di Logan “Make Ink. A forager’s guide to natural inkmaking”, in cui sono date istruzioni su come realizzare questi inchiostri.
Da dove nasce il tuo legame con la natura?
Dall’infanzia. Ho vissuto in case circondate dalla natura sia negli Stati Uniti, dove sono cresciuta, sia nella Repubblica Ceca, Paese di origine di mia mamma, dove trascorrevo l’estate con la mia famiglia in una casa di legno immersa nel bosco. La natura è una cosa fondamentale per il mio benessere fisico e mentale e il mio lavoro mi permette di mantenerne vivo il contatto.
Un altro tuo progetto che unisce arte e design è la collezione di piatti in ceramica che hai disegnato per la cena della FAO per il Sustainable Gastronomy Day. È stata la prima volta che ti sei confrontata con questo materiale? E come hai approcciato questo progetto?
Mi sono avvicinata per la prima volta alla ceramica nel 2023 in occasione di Moon Garden, una mostra sul concetto del giardino lunare. Quindi quando ho creato i piatti per la cena FAO, avevo già sperimentato questo materiale.
I piatti per il Sustainable Gastronomy Day li ho concepiti come una tela bianca. Volevo una forma organica, perché si parlava della terra, ma che lasciasse protagonisti i simboli e i numeri che voleva comunicare la FAO.
Hai in programma altri intrecci con il mondo del design?
In questo momento sto lavorando su un progetto che racconta i tessuti tradizionali della Repubblica Ceca, perché sentivo il bisogno di tornare alle mie radici. Sono vestiti realizzati con tessuti pieni di fiori o disegni ispirati a elementi naturali. Quindi si tratta sempre di un racconto sulla natura, ma più strutturato. È un progetto autoprodotto e i vestiti sono venduti in un concept store di Roma.
Abiti a Roma dal 2012. Quanto questa città influenza la tua opera?
Roma è una città piena di stratificazioni, in cui c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e in cui si può toccare il passaggio del tempo, una cosa fondamentale per il mio lavoro. Senza dimenticare il suo rapporto davvero unico con la natura: in ogni strada e in ogni muro c’è infatti qualcosa di verde, come se la natura stesse provando a riprendere possesso della città.
Un tuo lavoro a cui sei particolarmente legata?
Stargazers (2020), una collezione di opere realizzate con inchiostri derivati da materiali vegetali che ho raccolto nel giardino del Cimitero Acattolico di Roma. Un luogo veramente magico, più simile a un giardino segreto che a un cimitero. Mi hanno dato il permesso di andare lì per un anno intero a raccogliere materiali e ho realizzato inchiostri con bacche, fiori e anche ferro arrugginito, fotografando in parallelo le lapidi, perché il modo in cui cresce il muschio mi ricordava il cielo notturno. Ho chiamato il progetto Stargazers pensando alle persone che non ci sono più ma che ci guardano dalle stelle. Ogni opera ha un legame con una poesia di Shelley o Keats, che sono sepolti lì. Un progetto pensato per legare cielo e terra.