Design Street intervista Marc Sadler, il grande sperimentatore del design industriale.

Abbiamo incontrato Marc Sadler nello showroom di Foscarini, durante la Milano Design Week 2021, in occasione della presentazione di Mite Anniversario, la nuova versione della lampada da terra Mite. Un’edizione aggiornata nell’estetica e nella tecnologia nata per celebrare i 20 anni dalla conquista del Compasso d’Oro, il prestigioso premio di design che Mite ha vinto insieme alla versione a sospensione Tite.

Designer industriale di fama internazionale e quattro volte Compasso d’Oro ADI, Marc Sadler ha progettato di tutto nella sua lunga carriera: dagli scarponi da sci alle lampade, dai radiatori ai banchi frigo per il gelato. Ad accomunare i suoi progetti una costante attitudine alla sperimentazione e alla ricerca di materiali innovativi. Un’attitudine che agli inizi degli anni ’70 lo porta a disegnare il primo scarpone da sci in materiale termoplastico completamente riciclabile e che negli anni 2000 gli permette di rivoluzionare il settore dell’illuminazione con l’impiego di materiali compositi.

Un grande designer, ma anche una persona gentile e accogliente con cui è stato un vero piacere, oltre che un onore, fare due chiacchiere.

Ecco cosa ci ha raccontato.

D.S. Cominciamo con una domanda sulla sua vita: quando ha capito che voleva diventare un designer?

M.S. Ho studiato design all’università. In Francia si chiamava Estetica Industriale e nel mio corso eravamo in pochissimi. Ho concluso i miei studi con l’obiettivo di diventare un designer industriale. In Francia il modo di lavorare era diverso rispetto all’Italia dove il design è molto sofisticato, vicino alla moda. Io invece ho cominciato da subito a sviluppare progetti pensando al mercato.

D.S. Ha disegnato di tutto nella sua vita. C’è un fil rouge che unisce i suoi progetti?

M.S. Evito di mettere un segno nei miei progetti. Il mio obiettivo è quello di essere invisibile. Ogni progetto va studiato in base alle esigenze dell’azienda e del mercato. Certo, dovendo proprio rintracciare un fil rouge, mi piacerebbe dire “l’intelligenza progettuale”, ma sarebbe presuntuoso.

D.S. Quest’anno si celebrano i 20 anni dal Compasso d’Oro assegnato a Mite, la lampada che ha disegnato per Foscarini. Com’è nato questo progetto?

M.S. Mite è nata dalla richiesta di Foscarini di trovare un materiale che avesse le stesse irregolarità del vetro, ma che potesse essere prodotto industrialmente. Da qui l’idea di sviluppare un materiale composito, realizzato con un mix di fibra di vetro e fili di carbonio. Un’idea che ha preso forma mentre collaboravo con un’azienda per la quale stavo progettando racchette da tennis e mazze da golf.
Questo materiale composito ha lo stesso carattere artigianale del vetro, ma è estremamente resistente e flessibile. La pelle della lampada è autoportante.

D.S. Veniamo a Twiggy, altra icona in materiale composito che ha progettato per Foscarini. Perché nel 2020 ha deciso di riproporre la lampada con il diffusore in legno?

M.S. Per addolcire il prodotto. Twiggy, nella sua versione classica, è una presenza molto forte. La variante in legno si adatta meglio a un salotto borghese.

LEGGI IL NOSTRO APPROFONDIMENTO SULLA LAMPADA TWIGGY

D.S. Agli inizi degli anni ’70 progetta uno scarpone da sci in materiale termoplastico totalmente riciclabile. Oggi la sostenibilità è diventata un tema centrale nel design. Cosa ne pensa?

M.S. Il progetto dello scarpone da sci non aveva come scopo la riciclabilità, anche se oggi è questo l’aspetto che viene maggiormente sottolineato. Quando ho disegnato lo scarpone, il mio obiettivo era la flessibilità compositiva. All’epoca gli scarponi da sci erano tutti uguali, neri o marroni. Io volevo introdurre i colori. Per questo ho utilizzato quel materiale, perché si poteva colorare.
Per quanto riguarda la sostenibilità, è ovviamente un bene che si parli di questo tema. Da parte mia, mi rifiuto di disegnare prodotti usa e getta. Per i miei progetti propongo materiali come l’alluminio o il legno. Non possiamo, però, pensare di eliminare completamente la plastica fino a quando non avremo alternative davvero resistenti.

D.S. Un suo progetto che ama particolarmente?

M.S. Il paraschiena per Dainese, perché salva le vite. Sono un chirurgo mancato. E il fatto di ricevere lettere da tante persone che mi ringraziano per avergli salvato la vita è per me la gioia più grande.

D.S. Un progetto che le piacerebbe realizzare in futuro?

M.S. Io non progetto per me stesso, ma per le aziende. Per esempio, oggi non riesco a realizzare il divano che vorrei. Un divano che mi permetta davvero di sperimentare, di progettare una nuova funzione. Nel mondo dell’arredo c’è poca voglia di percorrere nuove strade, di prendersi dei rischi. Nell’illuminazione c’è più attitudine alla sperimentazione. Oggi però, dopo i cambiamenti causati dalla pandemia, vedo persone disponibili a cambiare le regole del gioco. Vedremo cosa succederà.

D.S. Cosa consiglierebbe oggi a un giovane che volesse diventare un designer?

M.S. Di ascoltare. Ascoltare tanto. Spesso i giovani designer cercano di mettere un segno nei loro progetti. Io penso che dovrebbero essere al servizio delle persone.

D.S. Qual è il suo rapporto con Milano? E com’è la sua casa? Ci può descrivere la sua atmosfera?

M.S. Anni fa pensavo che Milano fosse l’ultimo posto dove vivere. La consideravo grigia e piena di nebbia. Poi mi sono ricreduto e ho capito che Milano è una città bella, ma che ti devi meritare.
La mia casa è un ex spazio industriale recuperato in via Savona. Quando ho deciso di andare a viverci, tanti amici consideravano una follia l’idea di abitare in uno spazio di quel tipo e invece…
La mia casa è la conchiglia della nostra famiglia. È una casa vissuta, con il gatto, il giardino. Una casa da vivere.

Author

Una laurea in Lettere Moderne e un amore sconfinato per il design. Mi occupo di comunicazione, creando contenuti per agenzie di comunicazione, studi di design e aziende di arredamento.

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