Design Street intervista Cristina Celestino

Abbiamo incontrato Cristina Celestino nello showroom di Budri, in occasione della presentazione di Bangle, il suo ultimo progetto per la nota azienda di marmi e pietre semi-preziose. Una collezione composta da vasi, scatole portagioie e un vassoio, che trova ispirazione nella bigiotteria degli anni ’60 e ’70.

Con il suo tratto colto e raffinato, Cristina Celestino è una delle voci più interessanti nel mondo del design contemporaneo. Dai rivestimenti agli arredi, dalle lampade agli oggetti, fino agli interni disegnati per il settore della moda, sono davvero tanti gli ambiti con cui si è confrontata la poliedrica designer friulana. Una varietà di progetti caratterizzata, però, da uno stile ben riconoscibile. Il ricorrere di alcuni elementi, come le variazioni di scala e i richiami al passato, l’amore per i colori e un’innata attitudine alla sperimentazione materica, rendono infatti sempre inconfondibile la sua firma.

Ecco cosa ci ha raccontato.

D.S.: Quando hai capito che il design sarebbe stato la tua strada?

C.C.: È stato un processo graduale. Mentre studiavo architettura a Venezia, oltre ai corsi di progettazione, mi sono appassionata alla storia dell’architettura grazie al lavoro di Adolf Loos, Le Corbusier, Carlo Scarpa. Dopo l’università, mi sono avvicinata al design con il collezionismo. Amavo (e amo tuttora) scovare pezzi di modernariato nei mercatini o su internet. Il salto è avvenuto, però, quando mi sono trasferita a Milano nel 2009. Qui sono stata travolta dal fermento che ruotava intorno al mondo del design: il Salone del Mobile, gli eventi, gli allestimenti. Da lì è nata la voglia di autoprodurre pezzi per i progetti di interior a cui lavoravo. Poi nel 2012 ho deciso di partecipare al Salone Satellite e tutto è cominciato.

D.S.: Colore, materiale, texture. Da dove parti di solito nei tuoi progetti?

C.C.: Il punto di partenza varia a seconda del progetto. Per esempio, con Bangle sono partita dal materiale. L’idea era quella di lavorare con diversi tipi di marmo. Il resto è venuto dopo. Qualunque sia lo spunto iniziale, materia, texture e colore si intrecciano comunque sempre strettamente in ogni mio lavoro.

D.S.: Il marmo torna spesso nel tuo lavoro. Cosa ti piace di questo materiale?

C.C.: L’unicità data da un disegno naturale e la varietà dei marmi. Il marmo è considerato da sempre un materiale prezioso, adatto ad ambienti di lusso, io cerco, invece, di “alleggerirlo”, utilizzandolo come qualsiasi altro materiale. Per esempio, in Alice, la lampada che ho disegnato per Budri qualche anno fa, il marmo è interpretato con un linguaggio fiabesco, con variazioni di scala che rimandano al mondo di “Alice nel Paese delle Meraviglie”.

D.S.: Il tema dell’illusione e del fuori scala sono ricorrenti nei tuoi progetti. Da dove deriva quest’ispirazione?

C.C.: Nei miei progetti ci sono quattro riferimenti costanti: la moda, la gioielleria, la natura e l’architettura. Il fuori scala mi permette di giocare con questi mondi.

D.S.: Veniamo a Bangle, la tua collezione per Budri. Come nasce il progetto?

C.C.: L’ispirazione viene dal mondo della gioielleria. Un mondo che mi attrae per il tema dell’ergonomia e per gli strumenti di precisione utilizzati. In particolare, i vasi si ispirano ai bracciali in bachelite degli anni ’60 e ’70. A partire da lì, anche in questo caso, come per la lampada Alice, ho lavorato con il fuori scala per interpretare il marmo. I vasi sono, infatti, composizioni di “bracciali” realizzati mescolando il marmo con onici semi-trasparenti. Un’idea che, come accennavo prima, mi ha permesso di giocare con diversi tipi di marmo.

Per i “bracciali” sono state utilizzate lastre di 2/3 cm, scegliendo, laddove possibile, ritagli di grandi lastre.

D.S.: Oggi la sostenibilità è un tema centrale nel mondo del design. Come cerchi di affrontare questo tema nel tuo lavoro?

C.C.: Affronto il tema in modo diverso in base al progetto. Però, in tutti c’è un fil rouge: la ricerca della bellezza. Perché per essere sostenibile un prodotto deve essere innanzitutto bello. Solo così sarà in grado di superare la prova del tempo.

D.S.: Nei tuoi progetti c’è spesso un richiamo al passato. Se potessi viaggiare nella macchina del tempo, in quale epoca ti piacerebbe vivere?

C.C.: Sono contenta di vivere nella nostra epoca perché alcuni temi a cui tengo molto, come appunto quello della sostenibilità, sono diventati centrali soltanto in questi anni.

D.S.: Un oggetto che racconta un momento importante della tua vita?

C.C.: I divani di Tecno disegnati da Osvaldo Borsani. Perché sono fra i primi pezzi di design che ho acquistato. Inoltre, è un arredo molto vissuto, che accompagna me e la mia famiglia nella quotidianità.

D.S.: Un oggetto a cui non potresti rinunciare?

C.C.: Lo smartphone. Non solo perché è uno strumento di comunicazione, ma anche e soprattutto per le foto. È l’archivio dove raccolgo le mie ispirazioni.

D.S.: Un designer (in vita o no) con cui ti piacerebbe andare a cena e perché?

C.C.: Carlo Scarpa. Perché amo il modo in cui utilizzava i materiali e il rapporto stretto che aveva con gli artigiani.

D.S.: I tuoi posti del cuore a Milano?

C.C.: La Rotonda della Besana, la Triennale e i tram (N.d.A.: proprio dall’amore di Cristina per i tram è nato “Tram Corallo”, il progetto presentato durante il Fuorisalone 2018, in cui lo storico tram 1928 è stato trasformato in un cinema su ruote).

D.S.: Un progetto che non hai ancora realizzato e a cui ti piacerebbe lavorare in futuro?

C.C.: Mi piacerebbe disegnare una cucina. Un ambiente molto funzionale, che è affrontato in modo uniforme dal mercato. Ci vorrebbe uno sguardo diverso. Un altro modo di interpretarla.

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Una laurea in Lettere Moderne e un amore sconfinato per il design. Mi occupo di comunicazione, creando contenuti per agenzie di comunicazione, studi di design e aziende di arredamento.

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