Stavo scrivendo il mio solito report dal Salone del Mobile quando la mia amica Carmela mi ha segnalato la critica recensione che Marcus Fairs, direttore di Dezeen (probabilmente il più autorevole design blog al mondo) ha appena postato dell’evento milanese, con un titolo che lascia poco spazio a interpretazioni: “To visit Milan is to experience the antithesis of design”. Sono corso a leggerlo perché mi interessa molto conoscere il punto di vista di un collega straniero e ho subito capito che i miei timori sono diventati realtà. La festa è finita!
Quella di Marcus è certamente una provocazione, uno sfogo amareggiato e forse in alcune cose esagera… Io sono convinto che l’Italia (e Milano in particolare) siano ancora il numero 1 al mondo; ma per quanto ancora?
Conosco molto bene il Salone del mobile. Lo frequento come giornalista da 20 anni e vivo la Design Week da quando è nata. Ho goduto dei suoi momenti migliori, ho vissuto i giorni belli del design italiano, ho visto le idee e la creatività scorrere per le vie di Milano. Ma le cose sono cambiate. È da diversi anni che sostengo che il design non abita più qui…
Da tempo dico (e scrivo) che le fiere straniere – Londra e Stoccolma davanti a tutte – pur essendo più piccole, sono più interessanti, meglio organizzate, e che offrono un panorama più attento sulle novità. Che sono stufo che le aziende italiane, con tutti i creativi che esistono in Italia, facciano a gara a dividersi i soliti quattro nomi del design, quasi sempre stranieri. Che (purtroppo) il design migliore non arriva più dall’Italia ma dal’estero, in particolare dall’Oriente e dal Nordeuropa. Che il Fuorisalone si è trasformato in una sagra invivibile dove la qualità ha lasciato il posto alla quantità e dove in nome del business si è sacrificata la selezione. Cosa che mortifica i tanti talenti creativi, sempre più difficili da scovare e che fanno sempre più fatica a farsi notare, asfissiati come sono da costi troppo alti degli spazi e dal fatto di essere circondati da una mediocrità dilagante.
Il l’allarme lo avevo lanciato da tempo. Credevo di essere una voce isolata e speravo che le cose cambiassero prima che fosse troppo tardi. Lo credevo fino a quando non ho sentito la voce di Marcus, il primo a notare che “il Re è nudo”.
L’articolo di Marcus Fairs si può leggere (in inglese) a questo link: e questa volta il commento sul Salone, lo lascio a lui!
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi…
14 Comments
Tutto vero Milano sta morendo perché subentra la mania dell’ esserci a tutti costi, costi quel che costi, non importa più cosa presentare ma chi presentare, i Designers sono diventati gli attori principali dei loro prodotti, più che un salone del mobile mi sembra una kermesse dei soliti nomi che pensano di essere a holliwood dimenticando che dietro un progetto ci sono aziende e persone che scommettono sui loro prodotti, che non sempre sono metabolizzabili dal cliente finale, ma solo per qualche addetto ai lavori.
condivido, qualche giorno fa un noto designer ha commentato su facebook le giornate aperte al pubblico con questa frase: Dio ci salvi dalla massa consumer.
Avevo letto ieri il post di Markus Fairs, ma leggere pure il tuo ( ti do del tu) conferma le mie sensazioni. Quest’ anno non ho visitato il Salone, ma ho seguito tutto attraverso i post dei vari blog, autorevoli e non. Ed ho avuto la stessa impressione. Non era l’ anno dell’ euro luce? Per arrivare a pubblicare solo 4 lampade, e confermo 4 lampade,dei soliti noti non va bene.
Per il resto, bisognerebbe girare le tue domande, che io condivido, alle aziende, e farci spiegare da loro il perchè di questa tendenza che certo non fa bene al comparto d’ eccellenza italiana.
euroluce, scusate l’ errore, la fretta di esprimere il mio parere.
Condivido queste impressioni al 100%.
Ho studiato grafica allo IED alla fine degli anni 80 e da allora mi occupo di comunicazione visiva. A novembre sono passata da Milano per lavoro; ho ritrovato una città appesantita, statica, attaccata per inerzia o esaurimento alle glorie di un passato abbastanza lontano (se si parla di creatività, design, innovazione 20 anni valgono 1 secolo).
Tutto come 20 anni fa, ma senza l’energia e la spinta propulsiva che ci faceva pensare che con la cultura del “bello nel quotidiano” avremmo cambiato il mondo, almeno un po’.
Ma forse il problema è proprio questo. È bene che tutto resti com’è e che a farla da padrone siano le leggi di mercato. Oppure no, ma allora diamoci da fare, in tutti i sensi.
L’anno scorso mi sono bastate 4 ore di salone per capire che era meglio e più interessante fare altre cose a Milano invece di perdere tempo al salone quest’anno non ci sono andato proprio , la prima volta dopo oltre 20 anni , ho avuto ragione e la cosa m’intristisce . C’era un tempo in cui il solo pensiero di andare al salone non mi faceva dormire , per 5 giorni era un’esaltazione continua che continuava per mesi nell’attesa del prossimo salone . Caro Massimo , credo proprio che sia finita , purtroppo , per me l’epitaffio è stato un articolo letto ieri . Un “giornalista” addetto ai lavori quasi esaltava un “nuovo” prodotto di Tom Dixon (sedute) che altro non sono se non una copia della serie Platner x Knoll realizzate in legno anzichè in acciaio il cui unico pregio è quello di essere opera di un designer straniero perchè non voglio essere “malupensante” . Coraggio , proviamo a ricominciare anzi provate voi che potete . Un’abbraccio
Ma è chiaro, sono contento che ci sia intanto una presa di coscienza anche Vostra.
Dovremmo essere tutti più selettivi, e ricordare alle aziende (e ai designers stessi) che i “ferri del mestiere”, money compresi, non bastano per fare di un bravo progettista un designer, nè assicurano che un prodotto industriale possa trasmettere un valore culturale.
Buon lavoro a tutti!
Gentile Massimo
Mi trovo d’accordo con te su ttuttociò che hai esperesso, sono presidente di una associazione di Designer e più volte a gran voce abbiamo sostenuto la necessità di sostenere, lanciare, promuovere, giovani designer attraverso spazi specifici ad Hoc in fiere ed eventi ma tutto ciò non ha sortito alcun effetto, anzi chi li spazi li paga e vuole vendere facendo divenire mercati rionali le fiere più importanti ha sempre osteggiato la possibilità di fornire spazi creativi a giovani promesse per consentire loro di emergere, con i risultati di cui tu scrivi, in Italia soffriamo di miopia dilagante…e questi sono i risultati.
Il link sbagliato all’articolo originale, non fatto notare da nessuno dei commentatori credo sia sintomatico.
Commenti da parte di persone che non hanno voluto visitare Milano quest’anno ma che ne tracciano un profilo decadente (perché l’hanno seguita dai blog!), nessuno sguardo alla fonte originale (o tutti abbiamo il blog di Fair nel feed reader?).
E un sito che parla di design con un design anni 90 con solo l’aggiunta dei bottoncini di condivisione…
Disorientato.
Come più o meno tutti i commentatori del post, concordo con la tua analisi.
Il lato positivo della faccenda esiste, infatti in zona Lambrate Ventura si sono viste le proposte migliori, ovvimanete straniere come, del resto, quasi tutte le altre.
Questo significa che i Saloni hanno raggiunto una dimensione assolutamente internazionale, come punto di incontro per i designer di tutto il mondo.
Il lato oscuro della faccenda, è che l’Italia sembra aver assunto il ruolo di ospite per le altre nazioni.
La cosa più grave che riscontro io non è la mancanza di creatività o di innovazione, perchè non ritengo sia vero, bensì il tragico battere del martello che pianta gli ultimi chiodi sulla bara del MADE IN ITALY.
Stiamo riuscendo a perdere il sinonimo della qualità laddove paradossalmente siamo più forti.
Mi sembrà più grave di ogni altro commento sulla qualità.
Vorrei sottolineare anche un altro aspetto: il crescere del fenomeno dei maker, carino dal punto di vista sociale, purtroppo ha fatto si che si sia create un numero di “designer” improvvisati che si ritengono tali solo perchè in possesso di una macchina 3D che consente di creare forme assurde e irrealizzabili. Queste figure hanno intasato ogni interstizio del salone in cui sarebbe stato carino dare spazio a veri giovani o sconosciuti talenti.
Ho ascoltato con terrore il commento saputo di due signori che commentavano con fare orgoglioso un vaso realizzato in sintering 3D riproducendo come texture reale, la forma della vibraziione d’onda di un suono.
Fermo restando che Disney in Fantasia del 1960 aveva già avuto l’idea, quindi non proprio originale riproporla, il vero orrore è stato il commento:
“vedi, è finita l’epoca in cui solo l’artigiano poteva fare le cose perché solo lui ne aveva la competenza, adesso tutti possono fare belle cose di design! ”
BELLE COSE DI DESIGN? Un vasetto grigiastro dalla superficie ondulata, che se non ti spiegano come hanno fatto a farlo, non degneresti di una seconda occhiata, anzi probailmente ci spegneresti la sigaretta, tanto senz’altro dopo lo butti!!!
E’ giusto che i Saloni non siano riservati a noi addetti ai lavori, ma il rischio dell’eccesso di visibilità crea queste figure di “critici fai_da_te” che sscambiano il BauHaus per una azienda tedesca di cucce per cani!
Forse ritornare a chiuderli un po’, rendendo l’accesso più “desiderabile”, contribuirebbe a ridare loro quell’allure di incontro esclusivo e tanto atteso di cui parlava qualcuno più sopra che non dormiva per i cinque giorni precedenti, adesso se non dormi è per i party fino ad ore assurde con studenti ubriachi per le strade, con buona pace di chi abita in Savona-Tortona.
Saremo capaci di ritornare al posto che ci spetta didiritto?
perchè guardate che nonstante tutto, siamo ancora i migliori del mondo, ma anche querlli con meno orgoglio!
Forse avremmo bisogno solo di quello….
un caro saluto a tutti
christian
Il link nel testo è stato ora corretto. Senza segnalare l’update.
dopo tanti anni di visite al Salone anchi’io quest’anno ho notato il grosso sforzo di piccole artigianalità, vere interpreti del gusto italiano, per farsi notare al pubblico (quasi sempre inutilmente) e in antitesi grossi firme dove c’era tanto fumo e poco arrosto (quest’anno ne ho visti tanti di ReNudi).
Il fuori salone una farsa… dobbiamo tornare alle origini e aver meno paura di metterci la faccia come interpreti del design VERAMENTE Italiano!
Cristiana
Valuterei l’articolo con attenzione, sulle problematiche di Milano e del design Italiano parliamo in seguito, ma siamo sicuri che dietro l’articolo di Marcus Fairs non ci siano interessi personali? Sparlare di una Fiera che per tutti è la numero 1 al mondo come spazi ed operatori, per pubblicizzare un evento molto più ridotto potrebbe anche significare avere qualche interesse nascosto, semplicemente economico oppure perchè mira ad avere una parte rilevante come personaggio a quell’evento.
Verissimo comunque che il design batte la fiacca, le aziende lavorano sempre con gli stessi creativi, hanno perso la loro anima, il loro DNA che è sempre stato la caratteristica del saper fare e del made in Italy. Provate a passeggiare in un padiglione del design, eliminare il logo aziendale, appiattimento totale. Il mercato chiede questo? forse è tempo di tornare all’imprenditore con un cuore ed un’anima, in grado di scegliere come un tempo in base al proprio istinto.
I designer poi devono tornare ad essere più nascosti, oggi apparire viene prima di saper fare, ma questo è un altro problema.
SIAMO COMPLETAMENTE D’ACCORDO CON LA TUA ANALISI. IL DUBBIO CHE CI POSSA ESSERE QUALCHE INTERESSE DIETRO LE FORTI CRITICHE DI FAIRS, MA LA SITUAZIONE DEL SALONE DEL MOBILE OGGI, COME TU STESSO HAI NOTATO, NON E’DAVVERO CONFORTANTE…