DS – Quali sono oggi i compiti del design nel panorama italiano?
LS – Il design oggi può contribuire a un ricollocamento dell’economia italiana all’interno di un mercato globale mediante la sua creatività che, a differenza di altre, è storicamente legata al saper fare e al prodotto, alla storia dell’arte, all’artigianato, all’industria: eccellenze che spaziano dalla Ferrari alle utilitarie della Fiat degli anni ‘50-‘60, ma anche alla ciotola della Kartell per conservare il cibo. Il problema è che per fare ciò bisogna darsi una dimensione etica, il compito non è quello di innovare ad ogni costo ma di ritrovare un’identità al design italiano. Serve una creatività spinta ma anche attenta a far lavorare le macchine e a migliorare la vita di tutti i giorni, ogni giorno ad un uomo in più: il design è allargamento.
DS – Quindi intravvede una valenza sociale?
LS – Il design ha una valenza enorme nell’odierna comunità capitalistica e si pone come obiettivo l’allargamento del benessere. Ci sono dei “nemici” in tutto questo: il personalismo e quella disgraziata forma di pensiero tutta italiana di parlare solo di stranezze: i designer più pubblicati dalle riviste in realtà non fanno design: hanno anche una poetica di tutto rispetto, ma sono comunicatori, artisti e si finisce di leggere solo di cose strane o “radicalmente diverse”. Oggi parole come giusto, utile, corretto non trovano più spazio. Si è arrivati anche in architettura a sostenere che più una casa è storta e più è qualificata. Al contrario dobbiamo ricercare i valori collettivi e la riconquista di una condivisione che reidentifichi questo Paese.
DS – Come vede il rapporto delle aziende italiane con il design?
LS – Le aziende stanno cambiando da questo punto di vista. Il prodotto italiano è per sua natura costoso, sia per i materiali sia per il disegno; va quindi garantita una qualità temporale al prodotto con una durata sovrastorica che attraversi le mode. Si deve tornare alla necessità di un disegno etico, lontano dal consumismo veloce e dal modello della moda, si deve andare verso l’architettura, la costruzione, la durata, l’ergonomia.
Non possiamo alzarci ogni mattina con in testa qualcosa di nuovo, il nostro è un compito di responsabilità, e la responsabilità può essere molto più creativa del gesto estemporaneo. Sono orgoglioso di lavorare per le aziende ma non voglio creare solo per finire in vetrina o sulle riviste.
DS – Ci racconta i suoi nuovi progetti?
LS – Uno si chiama “Bernini” per Ora Acciaio ed è un sistema per ufficio, settore nel quale bisogna necessariamente fare il “vero” design. È partito tempo fa da un’idea di incastro tra gamba e piano molto complesso che nel tempo si è semplificato diventando un sistema di telai e pannellature molto diversificato. Un altro per Elam si chiama “Milano”, una serie per la casa, che parte da quest presupposto: se fossimo (come siamo) i figli o i nipoti di Gardella, Zanuso, Caccia Dominioni, come faremmo oggi i mobili? Ho pensato a pezzi di valore con una certa ricchezza del legno e con lavorazioni abbastanza complesse, nel segno di una continuità con la tradizione degli anni ‘50.
DS – Ha una sua metodologia di progetto?
LS – Il mio metodo si basa sulla necessità di affiancare a un tema di progetto un percorso parallelo che possa innescare dei meccanismi di rimbalzo analogici, la ricerca di una idea, apparentemente incongruente, che io chiamo la “giraffa”, da cui derivare un serie di ragionamenti e di forme con cui relazionarsi al tema principale in base anche al proprio bagaglio culturale: una volta per disegnare una lampada presi spunto dall’ “imperlato” veneziano che avevo scoperto a Murano…
DS – Quali sono le aree di maggior interesse per il futuro?
LS – Il design deve occuparsi delle aziende e non più del singolo prodotto. Deve occuparsi del lavoro che vi si svolge, guardare le macchine e cosa sono in grado di produrre e trovare uno sbocco al mercato. Ci vorrebbe un istituto culturale del design al servizio delle aziende. Oggi ci muoviamo in un periodo di acceso manierismo, ma gli studenti dovrebbero andare a vedere come lavorano le aziende; ce ne sono nel Veneto che hanno investito molto in macchinari e che potrebbero essere riportate alla contemporaneità e al mercato. Lo stesso vicino Bari, nella zona dei divani in pelle, ci sono molte piccole aziende che mancano dell’apporto della progettazione e dell’indicazione del gusto contemporaneo.
DS – Il maestro che ha avuto accanto?
LS – Aldo Rossi.
Intervista a Luca Scacchetti, architetto, designer
di Marco Forloni
Galleria Bernini:
1 Comment
**se il design consiste nel tentativo di rendere di nuovo abitabile questo mondo devastato dall’industrialismo, allora l’unico principio organizzativo e’ l’amore: amore per la propria professione, amore per gli altri non devastarlo con prodotti inutili, e barocchismi, amore per la semplicità, si parla di nuovo “rinascimento” ma è possibili ma con chi ? Ci sono molti designer meteoriti tutti o quasi “imitatori” di questo o quello Ma un conto sono “LORO” che hanno creato la solidità storica del design,un altro è l’emulazione senza consistenza professionale. Sono d’accordissimo con Luca Scacchetti; il design ha bisogno di solitudine o di miseria o di passione . E’ un fiore di roccia che richiede il vento aspro e il terreno rude. Rimboccarsi le maniche. saluti *luciano eu Dalmonego***********************+*********