Le Corbusier Olivetti: due geni a confronto
“Usine Verte” la fabbrica verde di Le Corbusier. Olivetti, Rho Milano, primi anni Sessanta, il progetto di quella che poteva essere una Apple italiana… e non è stata.
L’Italia, le sue potenzialità: Adriano Olivetti, un imprenditore che pensa al profitto mettendo in gioco tutti i parametri, dalla fabbrica, alla architettura, all’urbanistica, fino alla politica e alle Comunità, nuovi modelli di organizzazione sociale ed economica.
A inizio anni ‘50 in azienda si comprendono i limiti della meccanica, e si intravede come l’elettronica coniugata con l’informatica consenta un salto verso una rivoluzione del prodotto e delle prestazioni.
“Elea” Il primo calcolatore elettronico sviluppato da Mario Tchou, nella versione 9003 a transistor, vantava già una maggiore efficienza rispetto ai competitor IBM e Siemens, mentre il 9002 disegnato da Ettore Sottsass riceveva il Compasso d’Oro nel 1959.
La direzione era tracciata, testimoniata dall’incarico che Adriano Olivetti conferisce a Le Corbusier nei primi anni ‘60 per realizzare il Centro di Calcolo in un’area alle porte di Milano. Un grande e innovativo insediamento industriale che univa progettazione e produzione di elaboratori elettronici, divenuti i computer che hanno cambiato il nostro mondo.
La storia del progetto è illustrata e ben documentata in un volume di Silvia Bodei – dottore di ricerca presso UPC di Barcellona – “Le Corbusier e Olivetti, la usine verte per il centro di calcolo elettronico” edito da Quodlibet Studio.
L’iter progettuale viene subito fortemente condizionato dalla improvvisa -e misteriosa- morte di Adriano Olivetti avvenuta su un treno nel 1960 in viaggio per Losanna in cerca di finanziamenti. Il figlio porterà avanti il rapporto con il maestro svizzero e i suoi collaboratori.
Le Corbusier concepisce, dopo varie soluzioni preliminari, un progetto volto alla duplice funzione di coniugare benessere dei lavoratori ed integrazione con il paesaggio, dando vita ad un complesso che in anticipo sui tempi prevede oltre a fabbrica, uffici e una perfetta soluzione viabilistica, anche spazi dedicati alla cultura e alla ricreazione, con corpi edilizi autonomi per biblioteca-museo e ricreazione-ristorazione.
La soluzione, che committente e progettista intendono quale modello di innovazione, si compone di una piastra produttiva a piano terra formata da tre moduli quadrati, sormontata da due edifici in linea multipiano dedicati agli uffici, che nelle tre versioni del progetto, prendono forme diverse.
Di particolare interesse la seconda versione, in cui i percorsi pedonali dal parcheggio, con una tettoia continua, portano alla quota della copertura a verde dei reparti produttivi, dove per mezzo di uno snodo centrale conducono gli operai agli spogliatoi sviluppati attorno a grandi lucernari a cono, mentre gli impiegati vengono smistati ai vari blocchi scale-ascensori lungo i palazzi per uffici.
La bellezza della composizione complessiva si genera dalla disposizione dei volumi e dal contrasto dei linguaggi: quello organico per tettoie, spogliatoi, camini di luce, corpo mensa-ristorante -integrato da una collina artificiale-, e quello geometrico dei corpi uffici e del museo. Particolare studio era posto per ottimizzare le condizioni di illuminazione naturale, realizzate nei corpi produttivi con lucernari continui sulla copertura intervallati dal verde per mezzo di travi a sezione a V, e nei corpi uffici dalle schermature murarie che Le Corbusier non mancava mai di applicare in facciata in funzione dell’irraggiamento solare. Inoltre chiunque tra operai e impiegati doveva avere la possibilità di interagire con il paesaggio dall’interno del proprio posto di lavoro.
Grazie al binomio Le Corbusier Olivetti, l’Italia poteva avere una eccellenza architettonica e soprattutto un destino industriale diverso, intuizione e capacità non mancavano. Il progetto fu destinato a rimanere sulla carta a seguito del sopraggiungere di una grave crisi aziendale, per cui le banche creditrici imposero alla Olivetti di cedere il ramo elettronico alla americana General Electric, ritenuto evidentemente poco credibile e redditizio….
Si ringrazia Silvia Bodei per le immagini