Gli eventi culturali al London Design Festival
Come ho scritto nel precedente articolo, la mia esperienza al London Design Festival 2015 mi ha portato emozioni contrastanti. Da una parte l’eccitazione per Londra, la città più “di design” al mondo, dove non serve andare al Design Festival per vedere le tendenze: basta immergervisi con occhi curiosi. Dall’altra la delusione per un festival che, pur crescendo in dimensione e in importanza, non riesce a mantenere quel carattere di grande creatività con cui era partito. Se cerchi di imitare il Fuorisalone di Milano, hai già fallito in partenza perché con Milano non si compete: bisogna provare a batterla su un altro fronte: quello della qualità e della selezione, ad esempio…
La più bella conferma invece l’ho avuta, come sempre, dai “Landmark Projects”, gli eventi culturali, le installazioni di design fatta ad hoc per il festival all’interno del bellissimo Victoria&Albert Museum e in vari punti della città.
Ho avuto la fortuna di vederli in anteprima, in un press tour al V&A con guida una d’eccezione (Ben Evans, direttore del LDF) e raccontati direttamente dai designer.
Così dopo una colazione tra le sculture neoclassiche (io giravo maleducatamente le spalle a un Canova) insieme a giornalisti di tutto il mondo, siamo partiti per ammirare le numerose ospitate nel museo che installazioni che interagiscono col museo e con le opere esposte.
Prima tappa, Zotem, la scenografica struttura creata dal designer norvegese Kim Thomé in collaborazione con Swarovski, una scultura alta 18 metri che attraversa in verticale l’altissima Grand Entrance del V&A. Un totem in metallo nero punteggiato da grandi cristalli Swarovski che riflettono i colori di un variopinto nastro che scorre in loop continuo all’interno del totem. Un fantastico effetto di colori e rifrazioni che cambia in continuazione inondando di bagliori le pareti e le sculture dell’atrio.
Ci spostiamo al Level 4 per vedere un omaggio al designer britannico Robin Day in occasione del centenario della sua nascita. La figlia del designer, Paula Day, ci ha illustrato il lavoro di suo padre, in particolare i suoi oggetti in legno. Molto bello!
Da qui, alla “Cloakroom”, un’installazione di Faye Toogood: i visitatori vengono invitati a indossare una delle 150 giacche in tessuto tecnico del prestigioso brand Kvadrat (ognuna delle quali contiene una mappa personalizzata del museo) e andare alla scoperta di una serie di creazioni sculturali di Toogood sparse nelle gallerie.
Idea coinvolgente e molto divertente. Ovviamente, ne ho indossata una anche io!
Una delle installazioni più emozionanti è la “Curiosity Cloud” del duo tedesco Misher’Traxler, in collaborazione con il brand di champagne Perrier Jouët, ispirato al movimento Art Nouveau e in particolare agli insetti, spesso raffigurati nelle opere di quell’epoca.
L’idea dei designer è quella di mettere in relazione uomo e natura. Dal soffitto pendono 250 bocce in vetro soffiato della vetreria viennese Lobmeyer, ognuna delle quali contiene un insetto diverso, piccoli capolavori in lamierino tagliato al laser e ricamati a mano così da ricreare alla perfezione la forma e il colore del corpo. Gli insetti sembrano immobili ma appena ci si avvicina alla loro gabbia trasparente, un sensore di movimento li fa girare vorticosamente sbattendo, come un insetto vero, contro le pareti di vetro.
Il risultato è una sensazione straordinaria generata dall’ipnotico tintinnio degli insetti che urtano i vetri. Un’installazione meravigliosa!
Per ragioni di spazio salto la descrizione di qualche progetto “minore” per concentrarmi sugli ultimi 3. The Ogham Wall dei celeberrimi irlandesi Grafton Architects, un’installazione di menhir in cemento posizionati nella galleria degli arazzi, ispirata all’alfabeto Ogham del IV sec a.C. Poco da aggiungere: un contrasto emozionante nel silenzio della galleria.
Saliamo sul ponte tra la galleria medioevale e quella del Rinascimento, per l’installazione dei designer Laetitia de Allegri e Matteo Fogale, in partnership con la fabbrica di piastrelle Johnson Tile. Un tunnel in lamine di acrilico traslucido e colorato che riprende i colori delle vetrate medievali visibili ai piani sottostanti.
Chiusura in bellezza per “la torre di Babele” di Barnaby Barford che sottolinea la corsa al consumo nella capitale inglese. Una torre di 6 metri composta da 3000 riproduzioni in ceramica “bone China” di negozi reali di Londra, tutti fotografati personalmente dall’artista. Alla base quelli dei quartieri popolari: al vertice, le boutique più esclusive.
Un effetto davvero incredibile tra le perplesse sculture rinascimentali.
La visita si conclude col pop-up design shop, disegnato dagli svizzeri, Loris&Livia in collaborazione con Corian® Dupont. Uno shop che vende oggetti espressamente selezionati da un team di designer e aziende londinesi, molti dei quali espressamente customizzati per il Festival.
Una serie di progetti di altissimo livello. Solo questa visita, per me, vale un viaggio a Londra. Ancora di più se hai il privilegio di visitare i Landmark Projects accompagnati dai designer che li hanno creati.
Se l’anno prossimo siete a Londra per il LDF2016, questo è l’appuntamento da non mancare!
PS.
Il pomeriggio siamo andati a vedere alcune delle installazioni sparse per la città, ma ne parleremo in un prossimo post!
1 Comment
Ciao Massimo ,sono Damiano di lladro
Trovo molto interessanti i tuoi commenti e un mondo che non conosco ma che mi affascina e che vorrei approfondire.