Premetto che sono felice che il design sia apprezzato da persone di ogni età e vedere lo splendido Gillo Dorfles che alla veneranda età di 104 anni trova l’entusiasmo di visitare la mostra con le sue gambe, mi riempie il cuore di gioia.
Ma constatare che in generale l’età media del pubblico, all’inaugurazione del Triennale Design Museum, era quella di una casa di riposo, pone grandi interrogativi ai quali mi piacerebbe avere una risposta.
Forse che il design è un mestiere da vecchi? Forse che le inaugurazioni sono diventate eventi riservati a caste chiuse e autoreferenziali, che non lasciano entrare i giovani senza una posizione sociale (figuriamoci poi se senza lavoro…)? O forse sono i giovani stessi a rifiutare questi eventi mondani, percepiti come antichi, svuotati di senso, quasi e forse più di certi rituali della politica?
Come mai, mi domando, all’evento che celebra il design più bello del mondo, nel Paese del design, nella città del design e nel tempio del design mancavano i giovani? E i pochi che c’erano sembravano pesci fuor d’acqua?
Sono assolutamente certo che nei prossimi mesi la mostra sarà visitata da frotte di giovani, di studenti, di designer da tutto il mondo per vedere questa bella mostra (imperdibile l’effetto strabiliante dell’ultima sala dedicata alle icone del design italiano).
In tutti gli altri giorni, lo sappiamo bene, la Triennale è un ritrovo di giovani designer, un quartier generale dei creativi, un formicaio di studenti che girano in questi spazi enormi: chi per rendere omaggio al design e chi a suggellare con la propria presenza l’ essere parte integrante di questo mondo meraviglioso che è il design.
Ma proprio per questo mi chiedo come mai il giorno dell’inaugurazione tutti questi giovani, il futuro del design, il nostro futuro, erano misteriosamente assenti.
Al loro posto, una grande processione di persone canute sfilava per le sale, quasi a rendere maggio a un vecchio amico scomparso (mi vengono i brividi solo a pensarci…).
Ripeto. Non è mia intenzione sollevare polemiche sulla Triennale né sull’esposizione, uno splendido allestimento di che racconta il design al tempo della crisi, focalizzato su un tema attualissimo: quello dell’autosufficienza produttiva, declinato in tre periodi storici cruciali: gli anni trenta, gli anni settanta e gli anni zero.
Tantomeno sull’organizzazione, splendida come sempre in una delle cornici più suggestive di Milano.
Le mie osservazioni riguardano esclusivamente la partecipazione a questo evento.
Come persona che ama e vive il design, come direttore di un magazine, Design Street, che da sempre cerca di scoprire, promuovere, dare una possibilità ai giovani talentuosi, non posso non dispiacermi di questa mancanza e viverla come un piccolo, grande fallimento.
Che non è affatto da sottovalutare…