Era la mia prima volta al LDF – nonostante lavori in questo settore da 20 anni – e l’attesa era grande quanto le aspettative. Con questo spirito parto la domenica da Milano, così da potermi tuffare in metropolitana già il lunedì mattina insieme a milioni di londinesi…
Mi armo delle 2 guide (quella ufficiale e la “Icon Trail”, pubblicata dall’omonimo design magazine) per organizzare al meglio le giornate: lunedì Central, martedì East e mercoledì West London, per chiudere in bellezza giovedì con l’apertura delle fiere più importanti. Il Festival può iniziare.
Le giornate sono lunghe ed estenuanti (Londra è molto dispersiva) ma la fatica è compensata dalla visita ad alcuni dei 6 “Design Districts” londinesi. Ma non tutti sono interessanti… Meritano una visita il “Shoreditch Design Triangle”, un quartiere giovane e creativo pieno di negozietti graziosi, così come “Fitzrovia”, piccolo ma affascinante, e il Brompton District, con il Victoria & Albert Museum che da 5 anni è il centro nevralgico della settimana del Design (da non perdere assolutamente la mostra “The Power of Making”!) oltre ad essere il luogo migliore per riposarsi dalle fatiche del Festival.
Mercoledì 21, con le “Press Preview”, si entra nel vivo. Molto interessante, dopo il debutto milanese dello scorso aprile, il gruppo “Designjunction”, di cui ho già parlato in queste pagine ma anche il “Designersblock”, una bella esposizione di giovani creativi, scuole e università del design.
Giovedì, dopo una visita d’obbligo ai Docks, sede del White Building di Moooi (della cui esposizione “Mermaids” di Marcel Wanders ho recentemente trattato su Design Street) e del fantastico studio/shop/restaurant di Tom Dixon, mi dedico agli ultimi 3 eventi ospitati all’interno del Festival: “100% Design” a Earl’s Court, “Tent London” sulla Brick Lane e “Origin” a Spitalfields market.
Venerdì arriva presto e, con il mio bottino (un trolley contenente 13 chili di materiale, novità, cartelle stampa), rientro a Milano. La settimana è finita, ma non mi ha lasciato le sensazioni che mi aspettavo. Se devo essere sincero, infatti, l’impressione che mi è rimasta è quella di una grande delusione. Principalmente per i seguenti piccoli e grandi motivi:
1. Innanzitutto una critica/consiglio agli organizzatori. Le mappe allegate alle guide del Festival sono molto approssimative e non risultano di alcun aiuto: (fortunatamente i Design Districts, forse per sopperire alle lacune centrali, distribuiscono una più utile e dettagliata guida locale). 2. La città sembra non sembra essersi accorta del Festival del Design: poca gente, nessuna pubblicità, un’atmosfera da giornate qualunque. 3. I negozi coinvolti, gli show room, i “Pop Up Shop” (quelli che a Milano vanno di moda come “Temporary Shop”) sono dispersi in aree vastissime e a volte, tra uno e l’altro, si cammina per dei quarti d’ora. 4. Spesso, dopo lunghi spostamenti, si arriva in un banale negozio di casalinghi o in un piccolo gadget store. 5. Gli spazi stessi sono poco segnalati e a volte ci si passa davanti senza rendersene conto. 6. la fiera 100% Design mi ha dato l’idea di una piccola esposizione poco sentita, con pochi espositori raggruppati con una logica che si fatica a comprendere. Neanche da paragonare al Salone del Mobile di Milano. Né come dimensione, né come importanza, né come organizzazione né, soprattutto, dal punto di vista del coinvolgimento della città, del territorio e della gente cosiddetta”normale”.
Londra è certamente grandiosa e splendida sotto tutti i punti di vista, ma per la prima volta mi ha lasciato l’impressione di una città “provinciale”. Già… Malati come siamo di esterofilia (una malattia maledetta, che ci entra nel corpo attraverso la disillusione di veder precipitare la situazione culturale del nostro paese), siamo abituati a pensare che tutto, fuori dell’Italia, sia meglio che da noi. Invece lì ho capito quanto sia grande l’interesse, la passione, la curiosità di noi italiani (non solo degli addetti ai lavori ma, sempre di più, anche del grande pubblico) nei confronti del design. Gli stessi designer inglesi, giapponesi, coreani, francesi, svedesi argentini e di tanti altri paesi, alla mia domanda: “Sarai presente l’anno prossimo a Milano?” rispondono tutti allo stesso modo: “Magari, sarebbe il mio sogno! Forse un giorno…”
E allora ci si rende conto con grande soddisfazione che l’Italia è ancora come la vera patria del design e come tale è riconosciuta, ammirata e invidiata. Perché qui il design, pur essendo poco sostenuto a livello istituzionale, cresce e si diffonde spontaneamente, diventando parte della vita quotidiana di ognuno. In altri paesi, invece, pur raggiungendo ottimi livelli, viene coltivato in piccole oasi di creatività, dal quale fatica ad uscire.
C’era bisogno di andare fino a Londra per rendersi conto di quanto il design italiano sia grande, vivo, sentito e condiviso? Evidentemente sì.
1 Comment
Ci è proprio piaciuta la tua relazione. Quello che hai detto lo condividiamo.
bravo, saluti e a presto. Ciao