Design Street intervista l’artigiano e designer Marco Ripa. Tra amore per il metallo, lavorazioni invisibili e voglia di leggerezza

Abbiamo incontrato Marco Ripa, artigiano, designer ed editore marchigiano conosciuto per i suoi arredi in metallo dagli spessori sottili e dalle linee essenziali. Artigiano per sottrazione, come ama definirsi, Ripa in tutte le sue opere punta a togliere per esaltare la purezza della forma e del materiale. Un minimalismo dietro cui si nasconde però una profonda conoscenza della materia e delle lavorazioni. Il suo sapere artigianale infatti non si esprime in gesti tangibili, ma nella capacità di mimetizzare le ‘imperfezioni’.

Ecco cosa ci ha raccontato.

Partiamo da una domanda di rito. Com’è iniziato il tuo percorso professionale?

Ho cominciato nell’officina di mio zio perché mi piaceva costruire cose, creare con le mani. Quindi i primi passi sono stati molto pratici. Ero sostanzialmente un fabbro che realizzava cancelli e ringhiere. La passione per l’arte e il design l’ho scoperta in seguito grazie alle mie letture. E proprio da lì ho iniziato a rendermi conto che c’era qualcosa che mi mancava. Per questo nel 2011 ho deciso di dare una svolta al mio lavoro, aprendo un laboratorio di arredi di design in metallo. Un passaggio non consueto per un fabbro, che ha richiesto una buona dose di coraggio. Ma oggi, a 13 anni da quella scelta, posso dire di aver intrapreso la strada giusta. Ho maturato tanta esperienza e commesso un po’ di errori, ma tutto ciò che ho fatto mi ha permesso di arrivare fino a qui.

Il metallo è il tuo materiale di elezione. Da dove nasce il tuo amore per questo materiale?

È stata una casualità. Mio zio lavorava con il metallo e, avendo collaborato con lui per 13 anni, ho acquisito una grande padronanza della materia che nei miei progetti di design mi ha permesso di spingere il materiale al limite delle sue possibilità, sfruttandone l’elasticità e la resistenza meccanica.
A questo si sono poi aggiunte due ispirazioni importanti: Alexander Calder e Fausto Melotti. Calder l’ho scoperto in un libro d’arte, innamorandomi follemente della ‘leggerezza’ delle sue sculture in filo di ferro. Una leggerezza che contraddistingue anche le sculture di Melotti, legandosi in questo caso alla musica. Grazie alle loro opere, ho capito che un materiale che usavo per fare cose di uso quotidiano, come ringhiere e cancelli, poteva trasformarsi in qualcosa di poetico.

I tuoi progetti si caratterizzano per un lavoro di sottrazione. Perché questa scelta?

Dare una sensazione di leggerezza al metallo, che è notoriamente un materiale pesante, mi è sempre piaciuto. Un giocare con gli opposti in cui sono stato influenzato, oltre che da Calder, da designer come Achille Castiglioni e Ron Gilad.
Mi definisco “artigiano per sottrazione”. Tutti i progetti che nascono dal mio laboratorio hanno infatti uno stile pulito. Il nostro lavoro è di togliere l’imperfezione per esaltare la materia pura. Un lavoro di sottrazione in cui c’è però tanta manualità. Ad esempio, negli oggetti che creiamo non ci sono saldature a vista, ma è tutto uno studio di incastri. Una perizia artigianale che nei progetti minimali si percepisce poco e che per questo va raccontata.

Il tuo lavoro unisce la sapienza artigianale all’utilizzo della tecnologia. Come si coniugano queste due anime?

L’unione tra queste due anime è avvenuta dopo il mio incontro con Matteo Giustozzi, un designer marchigiano con cui ho collaborato un po’ di anni fa. È stato uno scambio: io gli ho fatto scoprire la materia, lui mi ha insegnato a usare le tecnologie. Oggi tutti i miei oggetti nascono prima nella mia testa e in quella dei miei collaboratori, poi passo alla progettazione 3D per valutare l’idea iniziale, quindi sviluppiamo gli esecutivi. In particolare, usiamo tantissimo il taglio laser perché così possiamo essere precisi al millimetro. L’assemblaggio finale è però eseguito sempre a mano.

Con Coimbra, la collezione di arredi firmata da Roberto Cicchinè (dal 2022 anche art director del brand), cominci a sperimentare l’alluminio. Come nasce il progetto?

Coimbra è un progetto nato nel 2019-2020 che abbiamo fatto decantare per qualche anno. Il primo prodotto era in metallo, poi lo abbiamo realizzato in alluminio, un materiale leggero e duttile, che è però difficile da lavorare perché ha poca resistenza meccanica. Per questo ci abbiamo messo tanto a realizzarlo, lanciandolo a EDIT Napoli nel 2023. È stato accolto molto bene e quest’anno abbiamo presentato un ampliamento della collezione.
Quando Roberto ha progettato Coimbra, si è ispirato al salotto buono delle nostre nonne, dove si accoglievano gli ospiti e si chiacchierava. Coimbra era, infatti, il nome di una scatola di caramelle e cioccolatini che si offriva agli ospiti, diventata famosa alla fine degli anni ’70.

La tua ultima collezione è India, una serie di tavoli in alluminio presentata a EDIT Napoli 2024. Cosa ci racconti di questo progetto? 

India nasce dalla collaborazione con Emanuele Ferraro, un designer conosciuto nel 2020 proprio a EDIT Napoli, con cui è nata subito una particolare sintonia. Il cuore di India è nell’attenzione all’ambiente. Non solo il progetto è in alluminio, un materiale 100% riciclabile, ma è stato anche pensato per ridurre al minimo gli scarti. Le dimensioni dei tavoli si basano infatti su quelle delle lastre di metallo che utilizzo per il taglio laser. Dunque impieghiamo il 95% della lastra, sprecando il minimo indispensabile. L’altra intuizione di Emanuele riguarda la versatilità dei tavoli. Le stesse gambe possono supportare tutti i piani della collezione, nelle diverse dimensioni. Perciò se nel tempo sorge l’esigenza di avere un tavolo più grande o più piccolo, è sufficiente cambiare il top, mantenendo la base. Il piano usato può essere restituito a me che lo rimetto a nuovo, reintegrandolo nel ciclo produttivo della collezione. Senza sprechi di materiale e risorse.

Perché il nome India?

È un omaggio al popolo indiano. Emanuele è attratto dalla spiritualità indiana, un mondo a cui mi sono avvicinato ultimamente anch’io, e ha fatto molti viaggi in India, rimanendo colpito dall’accoglienza di quella terra. Un concetto di accoglienza e apertura che si è espresso nel nostro progetto nelle forme arrotondate delle gambe del tavolo.

Author

Una laurea in Lettere Moderne e un amore sconfinato per il design. Mi occupo di comunicazione, creando contenuti per agenzie di comunicazione, studi di design e aziende di arredamento.

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