Il Salone del Mobile di Milano e la sua straordinaria Design Week sono terminati. Dopo aver girato ininterrottamente per 7 giorni dentro e fuori dalla Fiera (e aver visto meno della metà di quello che vi era esposto!), ripenso a questo Salone del mobile 2016 con un sentimento decisamente positivo. Diverse sono state le cose che ho apprezzato, ma vedo anche dei seri rischi all’orizzonte, che spiegherò nella seconda parte del post.
Non voglio oggi parlare di prodotti, eventi, aziende. Lo farò in altri due post in una mia classifica personale, ma mi limito a considerazioni di carattere generale (vi consiglio di non perderla: ci saranno delle sorprese! Qui la prima parte e qui la seconda parte).
Molti mi hanno chiesto: “Quel è la cosa che ti ha più colpito?” A tutti ho risposto: “La gente!”.
Io frequento questa fiera da tanto tempo (questo è il mio 25° Salone del Mobile…) e non ricordo, perlomeno negli ultimi 10 anni, di aver visto tanta affluenza, impressione confermata da tanti espositori con i quali mi sono confrontato. Meno russi, meno orientali, più europei e soprattutto più italiani. Espositori contenti, business in crescita, obiettivo raggiunto.
Il Salone del mobile 2016 chiude i battenti con la bellezza di 372.151 presenze, un record assoluto. Questa è la prima buona notizia. Per me la più bella.
La seconda cosa che mi è piaciuta, una splendida conferma, è l’atmosfera del Fuorisalone. Più giro per le Design Week europee (Londra, Parigi, Colonia, Stoccolma…) più mi rendo conto che Milano è, e resta, la capitale mondiale del design.
Migliaia di eventi, atmosfera internazionale, tanta gente dappertutto, installazioni sparse per la città, location strepitose che si aprono al pubblico per l’occasione: chiostri, musei, palazzi, vecchie officine, loft modernissimi, cortili nascosti, archeologie industriali…
Milano non è certamente la città più bella del mondo, ma lo diventa durante la Design Week. Una Cenerentola che si trasforma in principessa non per una notte, ma per sette giorni consecutivi. Un’atmosfera incantevole che non si può raccontare: si deve vivere, respirare.
La terza cosa che mi ha colpito è il design che, all’interno della fiera, mi sembra si sia posizionato su un livello medio più alto e omogeneo.
Metto subito le mani avanti nei confronti di eventuali “puristi del design impegnato” che obietteranno “se il design è questo…”, “sempre le solite cose…”, o altri commenti simili. I giudizi, lo sappiamo bene, sono necessariamente soggettivi (così come il concetto di bello e brutto) e ognuno ha il suo. Ma io trovo che in un paese come l’Italia dove il design è sempre stato un concetto di nicchia, riservato agli addetti ai lavori, vedere che tante aziende (anche piccole e sconosciute) si stiano spostando sempre più verso un livello design mediamente buono, è una grande e piacevole scoperta. Molto importante per un popolo che (a differenza dei paesi Nordici ad esempio) è per la maggioranza orientato verso un arredamento più “classico” e spesso più anonimo”.
Si può fare di piu? Certamente! Si stanno copiando tra di loro? Può darsi. Fatto sta che quando l’idea stessa di design – quindi di prodotto ben disegnato – diventa così popolare, a me sembra un ottimo segnale da non sottovalutare. Un primo passo, certo, ma decisamente positivo.
Passiamo ora alle cose che non mi sono piaciute, che in realtà sono “il rovescio” di queste tre medaglie che ho appena citato.
Mi riferisco al rischio, già realtà in molti casi, di una degenerazione del Fuorisalone proprio a causa della tanta, spesso troppa gente. Non in senso assoluto (più gente c’è e meglio è), ma perché questa gran quantità di persone che frequenta il Fuorisalone rischia di spostare sempre più l’attenzione dal design all’evento fine a se stesso. Mi spiego meglio. Molti brand approfittano di questa straordinaria quantità di gente per raccontar storie, far vivere emozioni, per stupire, per mostrare la bellezza, la forza innovativa, la novità dei propri prodotti. E questo è bene e fa parte dello spirito del Salone del Mobile e del Fuorisalone.
Purtroppo però, molti altri sfruttano questo gigantesco evento per puro scopo commerciale o per presentando prodotti che col design nulla hanno a che fare, abbassando il livello della Design Week a quello di “sagra della porchetta” come ha giustamente osservato una mia amica londinese. Non faccio esempi perché sono veramente tanti, ma questo è un rischio enorme per il Fuorisalone e sottovalutarlo significa votarsi al suicidio.
Se non si pone un freno a questa tendenza, succederà quello che molti stanno già prevedendo: che il vero design, stanco di questa “fiera delle vanità”, si sposti verso altre capitali europee, che si stanno già strofinando le mani a questa probabile prospettiva.
Secondo punto che non mi è piaciuto. La mancanza, o perlomeno la riduzione drastica degli spazi di sperimentazione.
Il design non è solo forma o bellezza, ma anche ricerca, innovazione, progetto. Ebbene, se da un lato mi ha colpito positivamente che il livello medio delle proposte di design sia decisamente cresciuto, dall’altro ho notato la scarsità di spazi dedicati alla sperimentazione, che sembra sia rimasta solo prerogativa delle scuole di design.
Queste, sia pur con l’inevitabile ingenuità che spesso caratterizza i progetti degli studenti, sembrano essere rimaste le uniche a pensare al design del futuro. Le uniche che tentano di rispondere a delle esigenze attuali e concrete, a problemi incombenti, a emergenze sociali; le uniche che pensano a come migliorare la “user experience” o le prestazioni del prodotto; le uniche che ancora hanno voglia di osare, di provare a collegare la fantasia, il sogno, l’utopia, a delle proposte concrete, belle, interessanti, provocatorie.
Attenzione che senza la ricerca il design perde la sua potenza dirompente limitandosi al maquillage, all’estetica dell’oggetto.
Il rischio è che alla fine tutte le aziende presentino oggetti simili, con le stesse forme, gli stessi colori, gli stessi materiali. Prodotti facilmente copiabili e quindi arma a doppio taglio.
Il design è progetto non oggetto. Se ci dimentichiamo questo depotenziamo la sua forza innovativa e competitiva a omologazione, a moda. Anzi, a “trend”, come va di moda dire oggi.
Il Salone del Mobile 2016 e la Milan Design Week si chiudono con un bilancio decisamente positivo. Io ne sono stato positivamente colpito e condivido questo entusiasmo.
Ma al tempo stesso mi auguro che i rischi di tanta popolarità non vengano sottovalutati, prima che sia troppo tardi.
2 Comments
Veramente interessante! Grazie al direttore di Designstreet, che si conferma un riferimento essenziale per comprendere quanto succede nel mondo del design.
…Milano non è certamente la città più bella del mondo, ma lo diventa durante la Design Week. Una Cenerentola che si trasforma in principessa non per una notte, ma per sette giorni consecutivi. Un’atmosfera incantevole che non si può raccontare: si deve vivere, respirare…
… Molti mi hanno chiesto: “Quel è la cosa che ti ha più colpito?” A tutti ho risposto: “La gente!”… Attenzione che senza la ricerca il design perde la sua potenza dirompente limitandosi al maquillage, all’estetica dell’oggetto…
Prendo (solo) questi tre spunti per ringraziarti di questa analisi della settimana milanese che si è appena conclusa e ho avuto occasione di vivere di riflesso dei miei ospiti: sono host Airbnb e sono stati giorni pieni!
Attraverso le tue parole, però, me lo gusto con calma! Grazie, Gloria