Design Street intervista lo studio di progettazione milanese 967arch. Tra progetti, curiosità e riflessioni sugli spazi di lavoro.

Abbiamo incontrato 967arch, lo studio di architettura fondato da Cesare Chichi e Stefano Maestri. Conosciuto per i suoi numerosi e importanti progetti nel mondo office, 967arch si muove in realtà in diversi campi: dal residenziale all’ospitalità, fino al product design. A caratterizzare tutti i loro lavori un mix di sobrietà, eleganza e ironia. Uno stile pensato per durare nel tempo che viene, però, sempre declinato sulla base delle specifiche esigenze del cliente.

Tra i loro progetti, edifici e spazi di lavoro per Accenture, Amplifon, Google, HP, Loro Piana, Petronas e WPP. Ma anche prodotti per brand come Davide Groppi, Saba, Dieffebi, MDF Italia e Poltrona Frau.

Ecco cosa ci hanno raccontato.

Come nasce 967arch? E perché questo nome?

Lo studio nasce nel 1999. All’inizio eravamo tre soci, poi siamo rimasti in due. Lo abbiamo chiamato 967 perché era la data di nascita che accomunava tutti. Un nome a cui abbiamo pensato un po’ per gioco e un po’ per distinguerci, dal momento che all’epoca quasi tutti gli studi di architettura avevano come acronimo l’iniziale dei nomi dei soci.
Ci siamo legati da subito alla progettazione nel mondo del lavoro perché Cesare aveva fatto una tesi sull’architettura come strumento di comunicazione delle aziende. Ci piaceva molto questo connubio tra architettura e mondo della produzione in un periodo in cui l’ingresso delle aziende era quasi bandito dalle università. Ma certo anche l’essere a Milano ha influenzato la nostra scelta, essendo la città che ospita le sedi di tante multinazionali. Se il mondo office è rimasto il cuore dello studio, nel corso degli anni abbiamo però percorso anche altre strade. 

Come dicevate, il cuore del vostro studio sono i progetti nel mondo office, un settore nel quale ultimamente c’è un grande fermento. C’è stato un cambiamento effettivo nel modo di progettare gli spazi di lavoro dopo la pandemia? 

La maggiore novità creata dalla pandemia riguarda la richiesta e l’uso degli spazi esterni, ma non ci sono stati mutamenti epocali. Ci sono momenti in cui qualcuno sposta l’asticella e secondo noi nella progettazione degli spazi di lavoro la vera rivoluzione è avvenuta nel 1999, quando è nata la sede di Google a Mountain View. Google ha infatti ribaltato completamente il modo di lavorare negli uffici, producendo una frammentazione nella distribuzione degli spazi. È con loro che nascono ambienti senza regole apparenti, con tante aree informali e ludiche e con un’atmosfera che comincia a diventare domestica. Negli anni successivi ci sono stati altri cambiamenti legati soprattutto alla tecnologia, ma nulla di così rilevante.

Dal 2021 siete direttori creativi di MDF Italia Contract Office. Cosa ci raccontate di questa esperienza?

Per diversi anni abbiamo utilizzato gli arredi di MDF Italia negli uffici, cambiando la destinazione d’uso dei prodotti dell’azienda. MDF Italia si rivolgeva infatti prevalentemente al mondo home e retail. Quando hanno notato che usavamo i loro prodotti in un modo diverso, ci hanno proposto di diventare direttori creativi del contract. Abbiamo quindi sviluppato un primo progetto legato all’office, con l’obiettivo di dimostrare che ogni ambiente poteva essere arredato con i mobili di MDF Italia. E dopo un anno e mezzo, abbiamo avviato una seconda fase del progetto dedicata all’hospitality. 

Avete adottato lo stesso approccio con le lampade di Davide Groppi, portandole dalla casa negli uffici. Siete stati tra i primi a ricreare l’atmosfera domestica negli spazi di lavoro?

Non possiamo dire di essere stati i primi. Diciamo che abbiamo avuto la fortuna di aver progettato la sede italiana di Google, assorbendo questa cultura. Un approccio che nasce dall’idea di attrarre i talenti, offrendogli l’ambiente più bello e più confortevole in cui lavorare.

A quali progetti state lavorando in questo momento?

Oltre all’ambito office, ultimamente stiamo lavorando anche nel residenziale e nell’hospitality. Tra i progetti, il recupero di Villa d’Este a Cernobbio, sul Lago di Como, e il recupero di 2 ex vetrerie, che diventeranno rispettivamente un edificio residenziale e uno spazio dedicato all’hospitality. Inoltre, stiamo per iniziare un progetto residenziale a Milano, nel quartiere di Nolo, e un progetto urbano a Rozzano.

C’è un fil rouge nel vostro lavoro?

Non avere un fil rouge. Cerchiamo di non essere ripetitivi in quello che facciamo, personalizzando ogni progetto e facendo sempre un passo indietro dal punto di vista dell’ego. Fatta questa premessa, chiaramente tutto è filtrato dal nostro gusto. Uno stile fatto di sobrietà, eleganza e un tocco di ironia che possa andare oltre i trend e le mode del momento, cosa tanto più importante nei progetti per le grandi aziende che sono destinati a durare per molti anni. 

Architettura, interior ma anche product design. Tra gli ultimi prodotti firmati dal vostro studio, il tavolo Teatro Magico per Saba, a cui si è aggiunta una famiglia di tavolini nel 2023. Come nasce il progetto?

Il progetto è stato una doppia sfida. A differenza di quanto accaduto con MDF Italia e Davide Groppi, non avevamo mai lavorato con questa azienda. E il prodotto che ci avevano chiesto di progettare non era mai stato sviluppato da Saba, azienda fino a quel momento dedicata quasi esclusivamente agli imbottiti. Dunque la sfida principale è stata quella di portare la morbidezza e la fluidità degli imbottiti in un arredo rigido come un tavolo. Da qui è nata l’idea della quinta teatrale riprodotta nella base. 

Uno dei temi più dibattuti del momento: Intelligenza Artificiale (AI). Quale impatto sta avendo nel mondo della progettazione? Quali i rischi e quali le opportunità che avvertite?

Per il momento sta generando solo una grande curiosità, ma certo questo è un tema che potrebbe rivoluzionare davvero il modo di lavorare negli studi di architettura. Nella quotidianità ci sarà una sostituzione totale delle mansioni. Per esempio, la normativa urbanistica e tutti i codici e protocolli verranno consultati dall’AI, con un risparmio notevole sui tempi. Mentre abbiamo seri dubbi sull’utilizzo dell’AI nelle professioni creative. L’Intelligenza Artificiale è una, mentre ognuno di noi è diverso per carattere, esperienza, cultura. Se il creativo non immetterà i dati in modo diverso, il software restituirà gli stessi risultati, creando omologazione. E poi c’è un altro aspetto da considerare: l’AI non ammette l’imprevisto dal quale possono nascere cose belle e interessanti per pura casualità. 

Un progetto che vi piacerebbe realizzare in futuro?

Una cantina. Perché c’è l’architettura integrata nel paesaggio e poi ci sono il territorio, la cultura, l’ingegneria. Insomma, è un progetto che condensa tanti aspetti diversi.
Un altro sogno nel cassetto: disegnare una piazza, una delle cose più difficili da creare a tavolino. Una piazza infatti non può basarsi su un ragionamento scientifico. Progettarne una e vederla sempre piena di gente sarebbe però bellissimo, anche più di una cantina, perché è uno spazio per tutti.

Quale consiglio dareste a una/un ragazza/o che volesse lavorare oggi nel mondo della progettazione?

Di avere pazienza. La gestione di un progetto è complicata, è una cosa che si impara negli anni, con l’esperienza. Rispetto a quando abbiamo iniziato noi, oggi è tutto più veloce e spesso chi esce dall’università non lo capisce. Detto questo, consigliamo sicuramente questo percorso perché è un lavoro stimolante, in cui non si smette mai di imparare e nel quale ci si confronta ogni giorno con persone e situazioni diverse. 

Author

Una laurea in Lettere Moderne e un amore sconfinato per il design. Mi occupo di comunicazione, creando contenuti per agenzie di comunicazione, studi di design e aziende di arredamento.

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