Design Street intervista Enrico Azzimonti, architetto e designer lombardo.
DS: Iniziamo con una domanda sulla tua vita: quando hai capito che avresti fatto il designer?
EA: Non quando ma come. Dopo la laurea in Architettura e l’abilitazione professionale sono rimasto due anni al Politecnico di Milano al seguito del professor Dell’Acqua Bellavitis; prima come giovane architetto studente in Design e Management e poi come assistente, entrando in contatto con aziende quali Zambon, Zerodisegno, Bernini, Tecno, Poliform. Da quel momento ho sempre collaborato con le aziende trasportando la passione per il progetto nella professione.
DS: La tua metodologia progettuale. Come le idee si trasformano in progetti concreti?
EA: È complicato trovare un assunto metodologico perché non c’è una formula matematica definita che dia il risultato corretto. Occupandomi di design industriale vi sono sicuramente “ingredienti” quali ricerca, sviluppo, innovazione, analisi, competitor, obiettivi, prodotti e loro derivati , know how aziendale, marketing, mercato, clienti, cultura ambientale, abitudini sociali e altri ancora…
La “ricetta” varia di volta in volta ed aumentando o diminuendo alcuni parametri, aggiungendo o sottraendone altri si crea il giusto percorso per ottenere il miglior risultato possibile per l’azienda ed il mercato in generale.
Ma l’idea in sé non può diventare progetto concreto, né tantomeno prodotto, se non acquista significato per chi poi dovrà produrla, veicolarla, commercializzarla. Questa alchimia è basica.
DS: Chi sono i tuoi maestri ispiratori, dove sono, in quale ambito, design, pittura, architettura, cinema, etc.
EA: Leonardo da Vinci, Giuliano da Sangallo, Jakob Ignaz Hittorff, Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Oscar Niemeyer, Charles Eames, Carlo Mollino, Alvar Aalto, Le Corbusier, Ettore Sottsass, Achille Castiglioni, Bruno Munari, Italo Calvino, Neruda e poi i critici e gli storici del design, i curatori di mostre, gli editori… i modellisti, i ceramisti, i tessitori, i fabbri…
Quotidianamente incontro persone diverse e dietro ad ogni volto c’è un pensiero e un bagaglio d’esperienza e di conoscenza che può rivelarsi ed essere condivisa, sedimentata, metabolizzata. Sono sempre alla ricerca di pensieri, soluzioni, oggetti, emozioni nelle persone o nelle loro azioni, nelle loro parole così come nei loro progetti.
DS: Alla luce della tua esperienza cosa consiglieresti a un giovane che intraprende questa professione?
EA: Di intraprenderla non perché ci si sente “creativi “ ma solo se si è consapevoli che si ha passione per la progettazione del prodotto.
DS: Design sinonimo di estetica – allegro, friendly, ironico – e design sinonimo di funzionalità: due scuole di pensiero che oggi convivono… Tu cosa ne pensi?
EA: Quando si arriva ad una funzionalità in grado di soddisfare reali bisogni attraverso progetti “semplicemente belli”, si è certi d’aver fatto il proprio dovere.
La funzionalità è sempre stata spina dorsale del design industriale. In questo momento, mai come prima, le aziende hanno raggiunto un alto livello tecnologico e quotidianamente investono in ricerca e sviluppo. L’alta tecnologia è sempre più celata e resa immediatamente raggiungibile attraverso la semplicità del gesto. Gli oggetti parlano un linguaggio estetico fruibile da tutti ed in grado di comunicare nell’immediato la funzione. Il rapporto tra i due parametri è inscindibile.
Poi vi sono concetti che prevedono un approccio allegro, friendly e ironico al progetto ma questa non può essere una scuola di pensiero bensì una chiave di lettura da utilizzare in corretti ambiti progettuali e non utilizzabile sempre e ovunque
DS: Quali sono le parole d’ordine del design contemporaneo?
EA: Sento parlare molto di autoproduzione, makers, co-progettazione: tutte nuove formule che i giovani stanno sperimentando nel mondo del design in generale.
Il flusso progettuale che ne scaturisce, in contrapposizione agli oggetti del mercato di massa sarà linfa vitale per le future generazioni quando saranno in grado di distillarne i contenuti oggi “rivoluzionari”
DS: Qual è l’oggetto che più di ogni altro rappresenta la contemporaneità?
EA: La moneta, oggetto contemporaneamente effimero tanto quanto tangibile e progettualmente sempre in evoluzione.
DS: C’è qualche pezzo che ti piacerebbe disegnare, con cui vorresti cimentarti?
EA: AAA … Aereo – Automobile – Albergo
DS: Un libro, un film, un brano musicale
EA: A. Bassi, Design anonimo in Italia, Electa, Milano, 2006
Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti
Goran Bregovic … tutto
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Grande poeta l’Enrico!