DS: Ciao Matteo, puoi presentarti in tre parole?

MC: Ciao! Sono laureato in architettura, mi occupo di fotografia e di comunicazione.

DS: Come hai cominciato la tua attività di fotografo ?

MC: Appassionato sin da bambino, ho cominciato più seriamente negli anni 90, in prossimità della mia laurea in Architettura al Politecnico di Milano.

 

DS: Qual’è la tua fida compagna di scatto?

MC: La luce naturale.

DS: Parlaci del genere di fotografia nel quale ti sei specializzato.

MC: Io mi definisco un reporter di architettura e di interni, perché il mio stile non è invasivo, bensì interpretativo. Cerco di rendere al meglio gli spazi rispettando il progetto che li ha generati, non intervenendo con luci ausiliarie, ma inquadrando in maniera molto selettiva cercando di sfruttare al meglio l’atmosfera esistente. Per questo scatto poche immagini, ognuna di esse mi deve convincere a pieno. Sono molto esigente con me stesso, e questo lo si vede soprattutto nel mio lavoro di ricerca personale, quando creo delle immagini molto astratte in bianco e nero partendo dalle forme architettoniche investite dalla luce: un approccio estremamente rigoroso.

 

 

DS: La tua foto preferita, quella che avresti voluto scattare.

MC: La mia foto preferita ritrae il grattacielo Pirelli come un menhir, in un’equilibrio estatico tra la sua forma, il cielo, e i cavi elettrici che pervadono Milano. Gio Ponti soleva dire: l’architettura è un cristallo.

DS: Un consiglio ai nuovi talenti e a tutti quelli che sognano di diventare fotografi.

MC: Intanto, fotografate per voi stessi, il che significa avere piena soddisfazione usando il proprio strumento (che sia uno smart.phone o un banco ottico) nel momento in cui si decide di dare vita a un’immagine. Sviluppare un proprio linguaggio è la prima conseguenza di questo atteggiamento d’amore. Insieme a questo credo sia importante avere umiltà, apertura mentale, pronti al confronto con gli altri, e guardare, ascoltare, leggere tutto quello che riguarda i grandi della fotografia. E, inoltre, studiare anche i percorsi paralleli tra la fotografia e le altre discipline artistiche.

DS: Quanto conta la post-produzione ?

MC: Nel lavoro commerciale la post-produzione è una voce da considerare in misura variabile in funzione del tipo di fotografie realizzate. Ad esempio c’è chi fa uno still life componendo una dozzina di scatti al computer, e chi fa una foto di reportage dovendo poi solo eliminare piccolezze. Nel mio caso, la post-produzione è funzionale all’equilibrio tra alte luci e zone d’ombra (come si faceva in camera oscura), oltre all’equilibrio delle tonalità cromatiche, il controllo del contrasto e dei toni, e l’eliminazione di tutte le impurità del file che sono generate dal sensore lavorando con diaframmi molto chiusi.

 

DS: La soddisfazione più grande.

MC: Essere chiamato a fare un lavoro per il mio particolare modo di vedere l’architettura, come recentemente mi è capitato per un lavoro con lo studio Chipperfield.

DS: Quali progetti per il futuro?

Viaggiare un po’ di più per fotografare architettura nelle grandi città del mondo.

www.photoarch.com

 

 

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