Incontriamo Patrick Jouin da Matteograssi, azienda lombarda specializzata nella lavorazione della pelle per la quale Patrick Jouin ha realizzato la poltrona Leaf, studiata appositamente, come ci racconta Patrick, per il Ministero della Difesa di Parigi. Un designer giovane, sempre sorridente, modesto nonostante il successo che lo ha portato rapidamente ad essere uno dei nomi più ricercati nel mondo del design.

DS: Cominciamo con una domanda sulla tua vita: quando hai capito che saresti diventato un designer?

P.J. Ho sempre amato disegnare, ma non sapevo molto bene quello che avrei voluto fare dopo il liceo. Pensavo a medicina o a una scuola d’arte. Mio padre era un artigiano. Sono cresciuto nei suoi laboratori. Solo 6 mesi prima della laurea, ho visto un annuncio della scuola all’ENSCI di Parigi (l’École Nationale Supérieure de Création Industrielle, l’unica scuola di design statale in Francia. NdT). Quella di diventare designer è stata una scelta ovvia.

DS: Le tue più grandi difficoltà e soddisfazioni?

P.J. La più grande difficoltà nel mio lavoro è quella di riuscire anticipare i problemi e i cambiamenti delle abitudini… e la soddisfazione più grande è quella di trovare le soluzioni.

DS: Di quali progetti sei particolarmente orgoglioso?

P.J. La Solid Chair e i bagni pubblici di Parigi. La prima è stata una rivoluzione, ho anticipato l’impatto della stereolitografia nel design. Sono stato il primo ad usare questa tecnica per una sedia. L’unità di servizi igienici di Parigi, progettata per JC Decaux, è il mio progetto preferito. È come una piccola architettura. Un progetto che deve stare sui marciapiedi e che crea un sacco di vincoli, ma noi abbiamo voluto incontrare tutti i diversi servizi della città; dal settore delle pulizie alle associazioni dei disabili. È stato un successo proprio per il bel lavoro di squadra.

DS: Quali aspetti del tuo lavoro sono cambiati negli ultimi anni?

P.J. Il lavoro del designer è ormai noto a tutti. I clienti, i produttori, gli sviluppatori oggi sono più abituati a lavorare con le persone creative.

DS: Cosa ti ispira maggiormente? Il cinema, l’arte, il design, l’architettura?

P.J. Tutto. È il mio lavoro! Un designer deve essere curioso. Sono interessato all’arte, all’architettura, alla scienza, alla musica, al cinema… L’ispirazione è ovunque! Dobbiamo comprendre i nuovi modi di usare gli oggetti e le nuove abitudini per continuare a inventare prodotti innovativi. L’unico problema del progettista è che egli vede in ogni cosa ciò che non funziona e vuole sempre fare di meglio. È una cosa innata, ma… è un processo infinito e molto frustrante.

DS: Consiglieresti a un giovane di iniziare una carriera nel design?

P.J. Certo! Ma solo se fa tutto con passione. Deve essere eccitato dai materiali e dalle conoscenze nel campo dell’artigianato come della tecnologia. Comprendere il processo di produzione è il segreto!

DS: Come è la situazione di design nel tuo paese? Che differenze vedi tra la tua cultura del progetto e quella italiana?

P.J. Ci sono molte scuole di design e progettisti in Francia ma non così tante aziende con cui lavorare. Le industrie francesi sono più abituate lavorare con gli ingegneri o il marketing piuttosto che con i designer. Abbiamo bisogno di una rivoluzione nel modo di vedere le cose. Siamo un grande paese per quanto riguarda le Arti Decorative, ma non si può dire lo stesso per il design industriale. In Italia è incredibile come sapete mescolare la cultura, l’industria e il business.

DS: Il design è estetica ma anche funzionalità: due modi diversi di vedere la stessa cosa. Tu cosa ne pensi?

P.J. Per me non sono due modi diversi di vedere le cose! È lo stesso. Funzione ed estetica sono strettamente collegati. Se la funzione non è buona, l’oggetto non sarà un successo, anche se ha un design piacevole. L’estetica fine a se stessa è nemica del design. Da anni abbiamo imparato a mixare forma e funzioni, ora dobbiamo andare oltre. La gente può pensare: “Perché creare una nuova sedia?… Ce ne sono così tante!” Dobbiamo progettarne una migliore delle altre che deve essere figlia dei nostri tempi. La funzione è ciò che i progettisti portano di nuovo nel loro secolo.

DS: Quale oggetto più di altri rappresenta la modernità?

P.J. Una volta avrei detto L’i-Phone, ma ora forse penso al nuovo telefono Samsung. La modernità è quando gli oggetti sono quasi invisibili, quasi virtuali.

DS: Quali progetti hai progettato per l’ultimo Salone del Mobile?

P.J. Ho disegnato diverse cose: la sedia “Ester”, per Pedrali, e poi una poltrona con tutte le sue declinazioni per Matteograssi chiamata “Leaf”. Cercavo un’azienda specializzata nella lavorazione della pelle per ottenere un risultato speciale. Ho progettato Leaf per gli arredi del Ministero della Difesa – progettato dall’architetto Nicolas Michelin – in particolare per l’ufficio del Ministro.

Ho anche collaborato con Busnelli, per il quale ho pensato ad estendere la collezione di sedure “Charme” e ho progettato un’intera sala da pranzo: la collezione Manda. Ho fatto una sedia per l’outdoor denominata “Kate” (dedicata a Kathleen mia figlia) per Fermob. È una sedia impilabile dalle linee delicate e pure, realizzata in metallo traforato, con taglio laser.

DS: un elemento che vorresti provare a disegnare?

P.J. Tutto è interessante: anche una maniglia! Io non ho una passione per un oggetto in particolare. L’esperienza mi fa capire che gli oggetti che amiamo non sono necessariamente i più facili da progettare… può essere un’inferno! E, per me, il progetto è forse più importante della realizzazione. Sono andato oltre gli “oggetti dei sogni”.

DS: Parlaci del posto dove vivi…

P.J. Vivo in una casa in legno su “palafitte” che io stesso ho progettato. All’interno, è un accumulo di tante cose diverse, da un vecchio scaffale Ikea che mi porto dietro dai tempi in cui ero studente, a prototipi e oggetti che ho progettato negli anni. C’è roba dappertutto… www.patrickjouin.com

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